Tag: allevatori

Incendio del Morrone: ecco chi ci guadagna

Incendio del Morrone: ecco chi ci guadagna.

Appennino Ecosistema denuncia i nuovi fuorilegge che compromettono la conservazione degli habitat di alta quota del Parco Nazionale della Majella

L’Aquila, 07/11/2017. La faggeta ha resistito, le praterie stanno faticosamente recuperando, ma i ginepreti nani sono perduti per sempre, a causa del passaggio del fuoco. E così i pascoli di altitudine del Morrone sono finalmente liberi da quegli ingombranti e fastidiosi arbusti spinosetti di ginepro che sottraevano spazio agli appetiti di vacche e cavalli, da qualche decennio padroni incontrastati dei preziosi habitat di alta quota tutelati da un SIC e da una ZPS istituiti in base alla Direttiva Habitat dell’Unione Europea e da una zona a massima tutela del Parco Nazionale della Majella, una Zona “A” di Riserva integrale. E sabato scorso, 4 novembre, gli allevatori fuorilegge del Morrone hanno festeggiato la Repubblica, a modo loro, traendo subito profitto dai pascoli finalmente “puliti” (cioè privi degli arbusti di ginepro nano) insistendo in comportamenti dannosi ed illegali, con il pascolo brado di vacche e cavalli (vietato da normative nazionali e regionali) in piena zona di Riserva integrale, oltre che nelle aree percorse dal fuoco (vietato per dieci anni in forza della L. n. 353/2000) e fuori tempo limite per la demonticazione (fissato al 15 e al 30 ottobre dalle norme generali e dalla L.R. n. 3/2014), in habitat delicati e fragili dove è ormai già presente la neve.

Di tali fatti sono stati informati il Reparto Carabinieri del Parco Nazionale della Majella e l’Ente Parco stesso, sperando che ora qualcosa si muova, anche dopo gli allarmi lanciati dalle Associazioni Salviamo l’Orso, LIPU e ALTURA, che con note circostanziate il 27 giugno e il 13 luglio scorso avevano chiesto decisi interventi agli stessi soggetti senza ricevere alcuna risposta. E così i nuovi fuorilegge delle nostre montagne hanno continuato ad esercitare impunemente le loro attività illegali, lucrando truffaldinamente i cospicui contributi dell’Unione Europea loro concessi “per il miglioramento del pascolo”, in base al Piano di Sviluppo Rurale Regionale,

Il pascolo brado di vacche e cavalli costituisce oggi una delle principali minacce all’integrità degli ecosistemi e delle specie montane. La presenza di enormi quantità di questi animali (ogni anno si contano decine di mandrie di 50-100 bovini e centinaia di equini nel solo territorio del Parco Nazionale della Majella), liberi di muoversi senza controllo, sta infatti provocando gravi danni alle praterie naturali, agli ambienti umidi ed ai boschi di montagna in tutti gli Appennini Centrali, che fino a pochi decenni orsono conoscevano la presenza soltanto degli ovini, sempre ben custoditi e di gran lunga meno dannosi per l’ambiente. Ogni anno, con l’avvio alla monticazione del bestiame domestico nel territorio del Parco Nazionale della Majella, si notano gravissimi danni a carico degli habitat tutelati dall’Unione Europea (in particolare, quelli prioritari 6210*, 6230* e 9210*) dovuti al pascolo brado di bovini ed equini, spesso lasciati al loro destino in montagna persino anche nel periodo invernale e senza alcuna custodia.

Oltre che dannoso, il pascolo brado e/o nel bosco è vietato da norme di carattere generale e dalla Legge Regionale n. 3/2014. Nei territori protetti da Siti di Interesse Comunitario o Zone di Protezione Speciale dell’Unione Europea, inoltre, il pascolo oltre i limiti fissati per la monticazione e la demonticazione è vietato dalla D.G.R. n. 877 del 27/12/2016 (Misure generali di conservazione per la tutela dei siti della Rete Natura 2000 della Regione Abruzzo, con le sanzioni previste dalla L. n. 47/1985, art. 20) e i proprietari sono punibili per i danni arrecati dai loro animali agli habitat anche in base all’art. 733-bis del codice penale (distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto), che prevede l’arresto fino a 18 mesi e l’ammenda non inferiore a 3.000 euro. Tali condotte illegali sono tanto più gravi in quanto si realizzano anche nelle Zone A di Riserva integrale individuate dal vigente Piano del Parco, che pone espresso divieto alle attività di pascolamento in tale Zona (salvo nulla osta dell’Ente Parco, rilasciabile solo se il pascolamento è finalizzato a “mantenere l’equilibrio ecologico e le peculiarità naturalistiche delle aree”), comunque vietate in modo assoluto se esercitate in forma brada e/o nel bosco, sia nelle Zone A sia in quelle B. I proprietari sono punibili, in questi casi, anche in base all’art. 13 e art. 30, c.1 della L. n. 394/1991 (interventi in assenza del nulla osta dell’Ente Parco ed in difformità dal Piano del Parco).


Bestiame: contro lo sfruttamento selvaggio degli ecosistemi appenninici

pascolo brado

Allevamento del bestiame: applicare subito le leggi, contro lo sfruttamento selvaggio degli ecosistemi degli Appennini.

Appennino Ecosistema denuncia i tentativi in corso di anteporre gli interessi di pochi allevatori a quelli generali di tutela e conservazione degli ecosistemi naturali e delle specie selvatiche.

L’Aquila, 22/08/2016.  Appennino Ecosistema denuncia i ripetuti tentativi da parte di alcuni allevatori di liberalizzare attività oggi palesemente illegali, spalleggiati dalla Regione che sta cercando di varare una controriforma della Legge Regionale quadro per la tutela delle foreste e dei pascoli (la n. 3/2014), e chiede la rapida approvazione del suo Regolamento di applicazione e dei Regolamenti comunali sui pascoli, sulla base delle Linee guida approvate nell’ambito del progetto LIFE “PRATERIE”.
Il pascolo brado di vacche e cavalli, spesso lasciati al loro destino in montagna anche nel periodo invernale e senza alcuna custodia, costituisce oggi una delle principali minacce all’integrità degli ecosistemi e delle specie montane. La presenza di enormi quantità di questi animali (si contano oltre 1000 bovini e più di 500 equini nel solo territorio del Parco Nazionale del Gran Sasso), liberi di muoversi senza controllo, sta infatti provocando gravi danni alle praterie naturali, agli ambienti umidi ed ai boschi di montagna in tutti gli Appennini Centrali, che fino a pochi decenni orsono conoscevano la presenza soltanto degli ovini, sempre ben custoditi e di gran lunga meno dannosi per l’ambiente. Oltre che dannoso, il pascolo brado è vietato da norme di carattere generale e dalla Legge Regionale n. 3/2014. Nei territori protetti da Siti di Interesse Comunitario o Zone di Protezione Speciale, inoltre, i proprietari sono punibili per i danni arrecati dai loro animali, in base all’art. 733 bis del Codice penale (Distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto), con l’arresto fino a 18 mesi e l’ammenda non inferiore a 3.000 euro.
Per quanto riguarda il Gran Sasso, gli allevatori hanno avuto ampio modo di esprimere il loro punto di vista, nel corso degli oltre 10 incontri partecipativi svoltisi tra il 2013 e il 2015 nell’ambito del progetto LIFE “PRATERIE”, con il quale l’Ente del Parco Nazionale ha avviato un proficuo processo volto alla tutela delle praterie montane del massiccio (che è ovviamente prioritaria in un’area protetta), ascoltando il punto di vista degli allevatori, delle Amministrazioni Comunali interessate, delle ASBUC, del Corpo Forestale dello Stato e di tutti gli altri soggetti interessati. Al termine di questi intensi lavori, finanziati dall’Unione Europea con quasi un milione di euro, sono state elaborate e condivise le Linee guida per la gestione dei pascoli, pubblicate sul sito web del progetto e formalmente approvate dal Consiglio Direttivo del Parco con Deliberazione n. 24 del 6 maggio 2015. Tutti i Comuni partecipanti si sono quindi impegnati ad approvare, come prevede la legge, i relativi Regolamenti comunali, il primo dei quali è stato quello, ora ingiustamente contestato, del Comune dell’Aquila. In particolare, le Linee guida prevedono, nel territorio del Parco Nazionale, l’obbligo di custodia degli animali al pascolo, il divieto di pascolamento nel periodo invernale, la sua limitazione in base alla capacità portante delle praterie e la sua totale interdizione oltre una certa quota.
E’ anche in atto un preoccupante tentativo della Giunta Regionale Abruzzese di varare una controriforma della Legge Regionale quadro per la tutela delle foreste e dei pascoli (L.R. n. 3/2014), che la snaturerebbe riaprendo la possibilità di uno sfruttamento selvaggio degli ecosistemi forestali e dei pascoli, riservandolo oltretutto a pochi gruppi di potere politico-economico. Inoltre, la Legge che già si vorrebbe cambiare non è stata mai compiutamente applicata, mancandone ancora il Regolamento di attuazione, a due anni dalla scadenza del termine previsto per la sua presentazione al Consiglio da parte della Giunta Regionale. Senza il vigore del Regolamento, che secondo la legge avrebbe dovuto definire prescrizioni e limiti d’uso di tutti i boschi e i pascoli della regione, nonché le relative procedure autorizzative, non è ovviamente possibile verificare se la modernissima legge finalmente varata all’inizio del 2014, dopo anni di attesa, sia in grado di regolamentare in modo efficace la tutela e l’utilizzazione degli ecosistemi forestali e di prateria della regione.
Il Presidente di Appennino Ecosistema, Bruno Petriccione, si dichiara disponibile a partecipare a qualsiasi futuro incontro convocato dall’Ente Parco del Gran Sasso, dal Comune dell’Aquila o dalla Regione, per ribadire quanto appena esposto e contribuire a risolvere queste problematiche su basi scientifiche e giuridiche.
Il Presidente di Appennino Ecosistema ha anche recentemente chiesto al Presidente della Terza Commissione (Agricoltura) del Consiglio Regionale Abruzzese, Lorenzo Berardinetti, di essere formalmente audito dalle Commissioni Agricoltura e Ambiente della Regione, insieme alle altre Associazioni ecologiste attive in Abruzzo, dopo che ciò è già avvenuto per altri portatori di interesse come le associazioni degli agricoltori e degli allevatori e per i Consorzi di gestione forestale. Anche i Direttori dei tre Parchi Nazionali abruzzesi dovrebbero essere auditi, in quanto titolari di importanti progetti LIFE co-finanziati dall’Unione Europea volti proprio a cercare di conciliare la tutela di ecosistemi e specie montani con le attività umane di allevamento e taglio boschivo (come il progetto PRATERIE del Parco Nazionale del Gran Sasso).