Sospensione delle esercitazioni militari nella ZSC Doline di Ocre

Sospensione delle esercitazioni militari nella Zona Speciale di Conservazione delle Doline di Ocre

Associazioni ecologiste e botanici annunciano i primi risultati della loro azione di denuncia

L’Aquila, 18/11/2020. WWF Abruzzo, Appennino Ecosistema, LIPU, ALTURA, Federtrek, Pronatura L’Aquila, Società Botanica Italiana e alcuni fra i principali botanici abruzzesi comunicano che, dopo l’esposto da loro presentato alla Procura della Repubblica dell’Aquila, al Gruppo Carabinieri Forestale dell’Aquila, al NOE dei Carabinieri, al Ministero dell’Ambiente e alla Regione Abruzzo, sono state sospese le esercitazioni militari in atto presso la Zona Speciale di Conservazione delle Doline di Ocre.
Fondamentale il tempestivo intervento della Regione Abruzzo, che ha notificato ai Comuni interessati dalle operazioni (Ocre e L’Aquila) e al Comando Militare che la procedura di Valutazione di Incidenza Ambientale, in un Sito quale quello in oggetto, è una procedura non derogabile, preventiva, vincolante e di verifica caso per caso.
I firmatari dell’esposto sottolineano come il rispetto della normativa vigente, oltretutto di diretta derivazione da norme dell’Unione Europea come la Direttiva Habitat, sia dovuta in primis da parte di istituzioni pubbliche quali i Comuni e l’Esercito Italiano. Il rispetto delle procedure, infatti, permette senza dubbio di contemperare le prioritarie esigenze di conservazione degli habitat e delle specie protette con quelle addestrative delle Forze Armate, individuando i luoghi, i modi e i tempi migliori per svolgerle. Tale intento viene peraltro perseguito anche da un apposito Protocollo di Intesa siglato nel 2015 dai Ministeri della Difesa e dell’Ambiente.
Alle azioni intraprese sinora seguiranno le dovute verifiche dello stato dei luoghi, che saranno oggetto di opportuna comunicazione all’Autorità Giudiziaria.


Ambientalisti dicono no a riperimetrazione Sirente-Velino

No a riperimetrazione Sirente-Velino, ambientalisti: “Si rilanci la gestione”

L’Aquila, 3 luglio 2020. Oggi si è tenuta una conferenza stampa delle associazioni ambientaliste davanti al Consiglio regionale all’Aquila per difendere il Parco regionale Sirente Velino.

La petizione on line promossa contro la proposta di riperimetrazione della giunta regionale ha superato le 11.000 firme in soli dieci giorni, “un segnale di interesse e di attenzione” affermano gli ambientalisti “verso la gestione delle aree protette che non può essere ignorato dall’amministrazione regionale. La Regione Abruzzo è conosciuta e riconosciuta nella forte identità della sua natura protetta e ben conservata, le persone chiedono che questa natura non venga compromessa da scelte politiche che ormai appartengono al passato e a gestione fallimentari. La Giunta Marsilio non perda l’occasione di questa mobilitazione per cambiare rotta e per iniziare un percorso di rilancio del Parco Sirente Velino, è paradossale che proprio l’Abruzzo, riconosciuto come la Regione delle aree protette, vada a compromettere il suo unico Parco regionale, invece di farne un modello da seguire e un esempio di buone pratiche. Si punti a una gestione innovativa, basata sulla conservazione e sul dialogo con le comunità locali”.

La petizione on line si può firmare QUI.

“Abbiamo scelto come luogo per la conferenza stampa proprio l’area adiacente al Palazzo del Consiglio Regionale d’Abruzzo – hanno dichiarato i delegati delle associazioni WWF Abruzzo, LIPU, Italia Nostra, Mountain wilderness, Salviamo l’Orso, Ambiente e/è Vita, Altura, ENPA, CAI Abruzzo, Fare Verde Abruzzo, Appennino ecosistema, Federazione Nazionale Pro Natura, FederTrek, Dalla Parte dell’Orso, GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane, Cooperativa Ecotur, Orso and Friends – perché è ai rappresentanti politici della nostra Regione che chiediamo un ripensamento sulla decisione miope di tagliare il perimetro del Parco regionale Sirente Velino. La gestione di un’area protetta è questione sicuramente complessa, ma la soluzione non è sottrarre ettari al territorio del Parco, ma puntare a un rilancio, a una gestione virtuosa che porti alla conservazione del patrimonio naturale, ma anche a un maggiore benessere sociale, culturale ed economico delle popolazioni che il Parco lo abitano. È una grande sfida, ma siamo sicuri che in Abruzzo ci siano conoscenze, competenze e possibilità per farla divenire reale”.

Stamane è stato ricordato che la proposta avanzata dalla Giunta prevede un taglio di circa 8000 ettari nel territorio soprattutto nella Valle Subequana, ma anche sull’Altopiano delle Rocche. “Ci chiediamo quali siano state le scelte che hanno portato a tale riperimetrazione, quali studi scientifici, ma anche sociali e di proiezioni economiche siano stati fatti per decidere che la cosa migliore per il territorio sia quella di ridurre il perimetro del Parco”.

Il Parco regionale del Sirente Velino negli anni è stato un esempio di abbandono amministrativo: commissariato dal 2015, lo era stato per diverso tempo anche in precedenza, praticamente realizzando più anni in gestione di commissariamento o con presidenti facenti funzioni che in amministrazione ordinaria. Ha subito molti attacchi anche dal punto di vista territoriale: nel 1998, nel 2000 e nel 2011 sono stati già tagliati molti ettari, creando l’attuale perimetro poco funzionale, tra l’altro, alla continuità ambientale visto che all’interno c’è un cuneo di territorio non protetto che si insinua all’interno del Parco stesso. Manca il Piano di gestione, strumento fondamentale per intervenire nel territorio anche con azioni di promozione e incentivazione, che aspetta da 3 anni di essere approvato dalla Regione Abruzzo.

“Perché invece di pensare alla riduzione del perimetro non si è agito per risolvere queste criticità?”, si chiedono le associazioni ambientaliste. “L’attuale Giunta ha oggi la possibilità di ribaltare questo percorso di mala gestione, per questo le Associazioni chiedono che venga ritirata la delibera che approva la riperimetrazione del Parco regionale, che si apra un confronto con tutti i portatori di interesse e in particolare con le associazioni che sono portatrici di un interesse comune e non di parte, che si ascolti la voce degli oltre 11.000 firmatari che chiedono un rilancio e una nuova gestione del Parco regionale. La politica regionale non ha mai investito con serietà su questo Parco, oggi da questo scontro può nascere un rilancio dell’area protetta, a partire dalla scelta delle figure apicali, come un presidente di profilo nazionale capace di dare al nostro Parco il giusto posto che merita tra le aree protette nazionali”.

Dunque, l’invito agli abruzzesi a proseguire nella mobilitazione affinché dalla tutela del Parco del Sirente Velino si riparta con il progetto della Regione dei parchi, che possa mettere finalmente in rete la gestione e la promozione delle aree protette abruzzesi, vera identità del nostro territorio, campo, forse l’unico, nel quale l’Abruzzo può emergere, farsi riconoscere, creare un marchio di promozione a livello internazionale.

Scheda di approfondimento

Nella delibera di approvazione della nuova perimetrazione si afferma: “la modifica dei confini, così come proposta dai Comuni, non incide sulle peculiarità ambientali e naturalistiche del territorio, che gode comunque delle tutele previste dalle misure di conservazione generali e sito-specifiche per le Zone Speciali di Conservazione (ZSC) e per la Zona di Protezione Speciale (ZPS), ricadenti nel territorio del Parco”.

Non c’è nessuna evidenza scientifica che possa confermare una tale affermazione. Anche perché se in un territorio vengono istituiti Siti di interesse comunitario come quelli citati, vuole dire che c’è la presenza di specie e habitat di interesse conservazionistico.

Una tale decisione poi crea anche una confusione normativa in quanto per realizzare azioni all’interno di ZSC e ZPS sarà comunque necessario effettuare la procedura di VINCA, ma ai cittadini si va a togliere il ritorno in promozione e compensazione dello stare all’interno di un parco ben gestito. Quello che cambia è il regime venatorio: nei SIC, nelle ZPS e nelle ZSC l’attività venatoria, seppure con alcune limitazioni, è consentita.

Di fatto, l’azione della Regione avrà come risultato quello di aprire alla caccia territori che oggi ne sono esclusi perché compresi nel Parco, pensando in tal modo di risolvere il problema dei danni all’agricoltura, di migliorare le condizioni degli imprenditori agricoli danneggiati dai danni da cinghiale, come si legge nella relazione che accompagna la proposta di legge.

Da una regione come l’Abruzzo ci si aspetta qualcosa di più innovativo ed anche più risolutivo che non delegare la risoluzione della problematica dei danni da cinghiale a una categoria che ha rispetto alla questione un evidente interesse di parte. Ridurre il territorio del Parco non farà altro che spostare altrove la problematica che ancora una volta non sarà affrontata e risolta. Non si può dimenticare che dalla Valle Subequana arrivano frequenti segnalazioni della presenza dell’Orso bruno marsicano, quelli del Parco regionale sono territori di forte espansione della specie. La Regione Abruzzo da un lato firma accordi per la tutela dell’Orso, come il PATOM, dall’altro attua scelte politiche che poco hanno a che fare con la conservazione di questo animale unico al mondo e simbolo della nostra Regione.


R.N.S. “Monte Velino”: Le specie e gli habitat naturali devono essere protetti da regole chiare

Riserva Naturale Statale “Monte Velino”: Le specie e gli habitat naturali devono essere protetti da regole chiare

Le Associazioni ecologiste condividono il decalogo con le norme di comportamento diffuso dall’Ente gestore della Riserva

L’Aquila, 16/11/2019.  Le Associazioni Appennino Ecosistema, L.I.P.U. Abruzzo, A.L.T.U.R.A. Abruzzo, Salviamo l’Orso, Forum Diritti Natura, W.W.F. Abruzzo e Touring Club Italiano Abruzzo apprezzano il tentativo del Reparto Carabinieri Biodiversità di Castel di Sangro, ente gestore della Riserva Naturale Orientata “Monte Velino”, di fare chiarezza sui comportamenti consentiti e su quelli vietati nell’area protetta, sgombrare il campo dagli equivoci e dagli alibi del “non lo sapevo”, e razionalizzare così la fruizione del territorio, perché questa sia compatibile con la protezione degli habitat naturali e delle importanti specie selvatiche che la Riserva tutela (tra i quali moltissimi di interesse dell’Unione Europea), priorità assoluta in una area protetta a livello europeo, nazionale e regionale.
Le Associazioni ricordano che il cosiddetto “decalogo” diffuso in questi giorni non è una novità, ma contiene solo norme di comportamento e di fruizione del territorio della Riserva già vigenti da molti anni ed è basato sulla normativa europea e nazionale relativa alle aree protette e in particolare su quella relativa a tutte le Riserve Naturali Statali. In tutte le aree protette a livello nazionale o regionale, secondo gli articoli 6 e 11 della Legge n. 394/1991 (Legge quadro sulle aree protette), è vietata qualsiasi condotta che possa incidere “sulla morfologia del territorio, sugli equilibri ecologici, idraulici ed idrogeotermici”, come anche sono vietate tutte “le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati, con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat”. Anche l’obbligo di autorizzazione per escursioni organizzate in gruppi numerosi era già previsto dalle norme che regolano le Riserve naturali statali, anche se spesso di fatto inapplicato (la soglia massima di cinque persone, oltre la quale occorre l’autorizzazione, è per ora solo un’ipotesi e sarà oggetto di discussione nella riunione del 21).
In questo contesto, le Associazioni plaudono all’annunciato rilancio della protezione e della gestione della Riserva attraverso l’applicazione delle regole, l’attuazione di interventi tesi a migliorarne la naturalità e lo stato di conservazione degli ecosistemi e delle specie selvatiche, tra i quali la reintroduzione del camoscio appenninico, e contemporaneamente la promozione della sua fruizione da parte degli appassionati di Natura, di montagna e di escursionismo.
Le Associazioni parteciperanno attivamente alla riunione pubblica che si terrà presso la sede della Riserva a Magliano de’Marsi giovedì prossimo alle 17, per discutere nei dettagli e condividere le modalità di applicazione delle norme vigenti, sulla base delle ipotesi prospettate nel “decalogo” della Riserva.


I cambiamenti climatici stanno danneggiando le nostre montagne

I cambiamenti climatici stanno danneggiando le nostre montagne

Gli ecosistemi di alta quota del Gran Sasso d’Italia colpiti dai cambiamenti climatici: una nuova ricerca dei Carabinieri per la Biodiversità e dell’Università di Roma Tre dimostra la gravità della situazione.

L’Aquila, 08/08/2019. Sono appena stati pubblicati i risultati di una ricerca scientifica, curata dai Carabinieri per la Biodiversità e dall’Università di Roma Tre, che dimostra la grave situazione di “degenerazione” nella quale versano gli ecosistemi di alta quota del Gran Sasso d’Italia, sulla base di trent’anni di ricerche svolte in un sito della Rete internazionale di Ricerche Ecologiche a Lungo Termine LTER, gestito direttamente dai Carabinieri per la Biodiversità, che comprende anche due habitat tutelati al livello europeo dalla Direttiva Habitat.
La ricerca, pubblicata sul numero 34 della prestigiosa rivista internazionale Nature Conservation e liberamente accessibile a chiunque (https://doi.org/10.3897/natureconservation.34.30218), è stata curata dal Ten. Col. Bruno Petriccione (del Reparto Carabinieri Biodiversità di Castel di Sangro) e dal Dr. Alessandro Bricca (del Dipartimento di Scienze dell’Università di Roma Tre). L’articolo scientifico (Thirty years of ecological research at the Gran Sasso d’Italia LTER site: climate change in action) è stato pubblicato in un’edizione speciale della rivista dedicata alla Rete LTER-Italia, con il titolo Italian Long-Term Ecological Research for understanding ecosystem diversity and functioning. Case studies from aquatic, terrestrial and transitional domains, ove compaiono altri lavori curati da ricercatori del Consiglio Nazionale delle Ricerche, di varie Università e di altri enti di ricerca.
Trent’anni di ricerche condotte direttamente dagli ecologi del Corpo forestale dello Stato e poi dei Carabinieri per la Biodiversità hanno consentito di appurare il progressivo incremento delle specie adatte a tollerare stress ecologici, temperature più elevate ed aridità, a danno di quelle più adattate al prolungato innevamento, a temperature più basse ed a maggiore disponibilità di acqua. In alcuni tipi di ecosistemi (in particolare, in un habitat prioritario tutelato dalla Direttiva UE Habitat), il 20% delle specie più sensibili è completamente scomparso, mentre molte altre sono state progressivamente sostituite da specie più termofile ed opportuniste (è il caso del Trifolium thalii, sostituito ormai quasi completamente dal più banale Trifolium pratense).
Secondo gli autori, i cambiamenti osservati potrebbero portare, a medio e lungo termine, ad un processo di disgregazione delle comunità vegetali degli Appennini, inclusa l’estinzione locale delle specie più adattate all’innevamento prolungato ed alle basse temperature. Questi fenomeni sono riconducibili ai cambiamenti climatici osservati nell’ultimo secolo (in particolare negli ultimi cinquant’anni), consistiti principalmente in una forte riduzione della durata del manto nevoso, in un incremento delle temperature medie e minime annuali ed in un forte aumento della variabilità nelle precipitazioni sia piovose sia nevose.
La ricerca conferma anche il riscaldamento climatico in corso a livello globale: al Gran Sasso la temperatura media annua è aumentata di 1,7°C negli ultimi 65 anni, corrispondenti ad un aumento annuo medio per decade di 0,26 °C, cioè più del doppio degli stessi valori osservati a livello globale (0,7 °C negli ultimi 60 anni e 0,1 °C per decade), e molto vicini all’aumento previsto, per l’anno 2100, di 2,0 °C per anno, secondo l’IPCC delle Nazioni Unite.
La conoscenza scientifica di quanto sta accadendo agli ecosistemi di alta quota degli Appennini è molto preziosa, in quanto costituisce la base fondamentale per guidare le misure di conservazione degli habitat e delle specie minacciati dai cambiamenti climatici, oggi tutelati a livello nazionale dai Parchi e dalle Riserve e a livello sovranazionale dalla Direttiva Habitat dell’Unione Europea. E’ quindi importante che l’ente gestore del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga (e contemporaneamente dell’omonimo Sito di Interesse Comunitario) assuma ogni iniziativa utile per rafforzare la protezione di questi fragili ecosistemi di importanza nazionale ed europea: tra di queste, il divieto assoluto di realizzare ulteriori impianti sciistici o altre infrastrutture, il divieto assoluto di pascolo di animali domestici ed un’efficace regolamentazione dell’afflusso turistico, divenuto ormai insostenibile nei periodi di punta.

Una delle figure che corredano il lavoro, un ecogramma dal quale emerge lo “spostamento” nel tempo della nicchia ecologica delle comunità vegetali di alta quota verso condizioni di maggiore luminosità (L), temperature più elevate (T), minore umidità (U) e minore disponibilità di nutrienti (N).

Il Trifolium thalii, sostituito ormai quasi completamente dal più banale Trifolium pratense.

 

 

 


Appennino Ecosistema aderisce alla Global Alliance for the Rights of Nature

Da oggi, Appennino Ecosistema fa parte della Global Alliance for the Rights of Nature, un’alleanza internazionale di esperti, associazioni e istituzioni impegnati a far riconoscere i diritti della Natura come soggetto giuridico da rispettare in quanto tale. Per più informazioni: Global Alliance for the Rights of Nature.


Appennino Ecosistema denuncia la Regione alla Commissione Europea per danni permanenti ad habitat prioritario

Parco nazionale della Majella: Appennino Ecosistema denuncia la Regione alla Commissione Europea per danni permanenti ad habitat prioritario dell’Unione Europea

A due mesi dalla denuncia di Appennino Ecosistema, i gravissimi danni alle faggete sono ora formalmente all’attenzione della Commissione Europea.

L’Aquila, Date 14/02/2019. Appennino Ecosistema ha inviato stamane una formale denuncia per violazione del diritto dell’Unione Europea alla Direzione Generale Ambiente della Commissione Europea, nella quale si contesta alla Regione Abruzzo di aver violato l’art. 6, c. 4, della Direttiva 92/43/CEE “Habitat”, per aver autorizzato il taglio forestale (con Determinazione n. DPD025/169 del 10/09/2018) senza la necessaria dichiarazione di incidenza non significativa, nonostante la presenza di un habitat prioritario, in area del SIC IT7140203 “Maiella” e della ZPS IT7140129 “Parco Nazionale della Maiella”. La Commissione approfondirà ora la questione, esponendo l’Italia alla possibilità dell’apertura dell’ennesima procedura d’infrazione per violazione delle normative europee in campo ambientale.
La formalizzazione della denuncia era stata richiesta direttamente dalla Commissione Europea, dopo l’esposto di Appennino Ecosistema del 27 novembre scorso alla Procura della Repubblica di Sulmona, ai Carabinieri e al Ministero dell’Ambiente sui gravissimi danni riscontrati all’ecosistema forestale in piena Zona B del Parco nazionale della Majella. Il 3 dicembre scorso il Ministero dell’Ambiente aveva poi formalmente chiesto di “riscontrare le osservazioni” di Appennino Ecosistema al Parco e ai Carabinieri e il 18 dicembre l’Ente Parco aveva fornito la documentazione richiesta sui lavori connessi ad un cantiere forestale di grandi dimensioni per scopi commerciali, in località Fonte Romana/Difesa di Pacentro (Pacentro – AQ), con una relazione del proprio Ufficio Forestale che confermava i gravi danni al suolo e all’ecosistema di un’ampia area con superficie pari a circa 12 ettari, qualificandoli come “danno permanente all’habitat prioritario”. Il ripetuto transito dei trattori utilizzati per l’esbosco del legname sul delicato suolo forestale ha prodotto una devastazione senza precedenti in una delle aree più intatte del Parco nazionale. E tutto ciò a pochi passi dalla Strada Provinciale n. 54 “Frentana”, sotto gli occhi degli addetti all’Ente Parco e dei Carabinieri Forestali che hanno il compito di controllare il territorio del Parco.
Appennino Ecosistema aveva poi inviato, il 27 dicembre, un seguito al precedente esposto, nel quale evidenziava che la relazione dell’Ente Parco, oltre a confermare la violazione delle numerose norme già citate nell’esposto (codice penale, art. 452-quinquies, art. 733-bis e art. 635, L. n. 394/1991, art. 6, c. 3, art. 11, c. 3 e art. 30, c. 1), apriva la possibilità di contestare all’impresa boschiva la più grave violazione dell’ art. 452-bis del codice penale, uno dei cosiddetti “delitti ambientali” recentemente introdotti nel codice, che punisce  con la reclusione fino a 6 anni e con la multa fino a 100.000 € “chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna”.
Nella stessa nota, Appennino Ecosistema evidenziava come l’autorizzazione rilasciata dalla Regione all’impresa boschiva fosse da ritenersi palesemente illegittima, in quanto non conteneva la necessaria dichiarazione di incidenza ambientale non significativa del progetto di taglio, che spetta alla Regione stessa. I lavori sono stati quindi eseguiti in mancanza della relativa autorizzazione prevista dalla Direttiva habitat dell’Unione Europea e dal DPR n. 120/2013, configurandosi così il reato previsto dal Codice del paesaggio (D.Lgs. n. 42/2004, art. 181 c. 1), con le sanzioni previste dalla legge urbanistica (L. n. 47/1985, art. 20).
Si evidenziava anche che nello stesso “progetto esecutivo di taglio e valutazione di incidenza ambientale”, redatto da un dottore forestale senza alcuna partecipazione di biologi o naturalisti, viene accertata una “limitata criticità per flora e fauna”, dichiarando poi unilateralmente (ed impropriamente) che l’intervento “non inciderà negativamente” sulle aree della Rete Natura 2000. Ragionevolmente, le criticità accertate per la flora e la fauna non potevano quindi far escludere possibili incidenze negative su queste componenti fondamentali dell’ecosistema e quindi sull’habitat prioritario. Nessuno avrebbe potuto quindi autorizzare l’esecuzione del progetto dichiarandone la sua incidenza ambientale non significativa, senza almeno richiedere un approfondimento dello Studio con la collaborazione di figure professionali qualificate nel settore ecologico, anche perché la procedura autorizzativa prevista dall’art. 6, c. 4 della Dir. 92/43/CEE (e dal relativo art. 5, c. 10 del D.P.R. n. 357/1997, come modificato dal D.P.R. n. 120/2003)  nel caso di incidenza significativa su habitat o specie indicati come “prioritari” negli Allegati I e II alla Direttiva UE Habitat è particolarmente aggravata, poiché per autorizzare la realizzazione del progetto possono essere addotte soltanto “considerazioni connesse alla salute dell’uomo ed alla sicurezza pubblica” o anche, ma in questo caso previo parere obbligatorio e vincolante della Commissione Europea, “altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico”, situazioni chiaramente al di fuori delle motivazioni dell’intervento in corso.
Nella nota, Appennino Ecosistema evidenziava infine come le prescrizioni fornite dall’Ente del Parco nazionale della Majella e dalla Regione all’impresa boschiva apparissero irragionevoli e contraddittorie: queste imponevano infatti all’impresa boschiva la sospensione dei lavori nel periodo marzo-giugno (Ente Parco 02/07/2018) e in quello ottobre-novembre (Regione 10/09/2018), arco temporale successivamente modificato in luglio-settembre (Regione 20/09/2018). Si consideri che il periodo nel quale si sono verificati i fatti in esame coincide proprio nel mese di novembre, che nel 2018 è stato caratterizzato da precipitazioni frequenti ed intense che hanno reso l’ecosistema ancor più sensibile agli interventi che lo hanno poi irreparabilmente danneggiato.


Parco Sirente-Velino: habitat tutelati dall’UE minacciati da mega progetto

La vipera dell’Orsini (Vipera ursinii)

Parco Sirente-Velino: habitat tutelati dall’Unione Europea minacciati da un mega progetto di nuovi impianti sciistici

Appennino Ecosistema invia pesanti osservazioni sulla Valutazione di Incidenza Ambientale

L’Aquila, 22/01/2019. Dettagliate “osservazioni” sono state presentate stamattina da Appennino Ecosistema alla Regione Abruzzo, in merito al mega progetto di nuovi impianti sciistici, sottoposto alla procedura di Valutazione di Incidenza e di Impatto Ambientale.
Si tratta di quattro nuovi impianti e di otto nuove piste che si vorrebbe realizzare nella zona della Magnola, ampliando così verso Nord-Ovest il comprensorio sciistico omonimo, in piena Zona A di Riserva Integrale del Parco Regionale Sirente-Velino (secondo il mai approvato Piano del Parco), a pochi chilometri dai confini della Riserva Naturale Statale “Monte Velino” e nella Rete Natura 2000 dell’Unione Europea (ZPS/SIC).
La realizzazione del progetto da 13 milioni di euro distruggerebbe o comprometterebbe gravemente lo stato di conservazione di una superficie pari a circa 20 ettari, ove sono presenti numerose specie ed almeno cinque habitat di alta quota protetti dalla Direttiva Habitat dell’Unione Europea. Tra le specie, la rarissima vipera dell’Orsini, la coturnice, l’aquila reale e il grifone. Tra gli habitat, uno è considerato prioritario dalla stessa Direttiva UE (n. 6230* – Formazioni erbose di nardo): sebbene tale habitat sarebbe completamente distrutto per una superficie di “soli” 2,4 ettari, si trova in stato di conservazione inadeguato e in peggioramento in tutta la Penisola e sulle Alpi in stato cattivo (secondo il Rapporto ISPRA n. 194/2014). Ogni sua perdita è pertanto da considerarsi inaccettabile; infatti, nel caso di incidenza significativa su habitat o specie indicati come “prioritari” negli Allegati I e II alla Direttiva UE Habitat, la procedura autorizzativa prevista dall’art. 6, c. 4 della Dir. 92/43/CEE (e dal relativo art. 5, c. 10 del D.P.R. n. 357/1997, come modificato dal D.P.R. n. 120/2003) è particolarmente aggravata, poiché per autorizzare la realizzazione del progetto possono essere addotte soltanto “considerazioni connesse alla salute dell’uomo ed alla sicurezza pubblica” o anche, ma in questo caso previo parere obbligatorio e vincolante della Commissione Europea, “altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico”, situazioni chiaramente al di fuori delle motivazioni del progetto in questione. L’assunto (contenuto nello Studio di Incidenza Ambientale) secondo il quale le opere previste comporterebbero la perdita di meno dell’1% della superficie degli habitat protetti dalla Direttiva Habitat, in rapporto all’intera ZPS/SIC, è criticato da Appennino Ecosistema, in quanto non considera le superfici degli stessi habitat già perse a causa di altri precedenti interventi, come quelli attuati in passato nella zona sciistica esistente della Magnola.
Gli interventi di ripristino degli habitat proposti – osserva Appennino Ecosistema – sono basati sull’elevata resilienza delle comunità vegetali, che sono invece caratterizzate da un basso livello della stessa, trattandosi di habitat di alta quota; essi sono quindi destinati a fallire. Inoltre, gli stessi interventi, basati sulla concimazione e l’idrosemina, produrranno solo comunità vegetali disorganizzate caratterizzate da specie opportuniste, ben lontane da quelle originarie, configurando così un totale fallimento degli stessi.

La Magnola

Appennino Ecosistema chiede infine che siano fornite, a corredo dello Studio di incidenza ambientale, le carte della vegetazione e degli habitat, in modo da poter valutare la reale incidenza delle opere punto per punto e la possibilità di un loro spostamento per eliminarne o ridurne l’incidenza sugli habitat. La valutazione di possibili alternative al progetto è obbligatoria, infatti, in base alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea (sentenza Corte giust. UE, seconda sez., C 451/17 del 07/11/2018).
Appennino Ecosistema, nel caso di approvazione del progetto senza modifiche significative, ipotizza la violazione di numerose normative poste direttamente a tutela delle aree protette a livello europeo e regionale/nazionale, tra le quali gli articoli del codice penale 733-bis (distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto) e 452-quinquies (delitti colposi contro l’ambiente, che punisce fatti colposi dai quali possa derivare anche solo il pericolo di una compromissione o di un deterioramento di un ecosistema, della biodiversità, della flora o della fauna) e gli articoli 6 e 11 della Legge n. 394/1991 (Legge quadro sulle aree protette, divieto di qualsiasi condotta che possa incidere “sulla morfologia del territorio, sugli equilibri ecologici, idraulici ed idrogeotermici”, divieto di tutte “le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati, con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat”). A questo proposito, Appennino Ecosistema ricorda che le norme previste dalla Legge quadro sulle aree protette come “norme di salvaguardia” devono essere applicate anche nel caso del Parco Regionale Sirente-Velino, in quanto né il Piano né il Regolamento del Parco sono ancora vigenti.

La zona dell’intervento.


Parco nazionale della Majella: interviene il Ministero dell’Ambiente e l’Ente Parco accerta “danni permanenti”

Parco nazionale della Majella: interviene il Ministero dell’Ambiente e l’Ente Parco accerta “danni permanenti” ad un habitat prioritario dell’Unione Europea

Ad un mese dalla denuncia di Appennino Ecosistema, i gravissimi danni alle faggete sono confermati dall’Ufficio Forestale dell’Ente Parco.

L’Aquila, 27/12/2018. Dopo l’esposto di Appennino Ecosistema del 27 novembre scorso alla Procura della Repubblica di Sulmona, ai Carabinieri e al Ministero dell’Ambiente sui gravissimi danni riscontrati all’ecosistema forestale in piena Zona B del Parco nazionale della Majella, il 3 dicembre scorso il Ministero dell’Ambiente ha formalmente chiesto di “riscontrare le osservazioni” di Appennino Ecosistema al Parco e ai Carabinieri.
Ora l’Ente Parco ha fornito la documentazione richiesta sui lavori connessi ad un cantiere forestale di grandi dimensioni per scopi commerciali, in località Fonte Romana/Difesa di Pacentro (Pacentro – AQ), con una relazione del proprio Ufficio Forestale che conferma i gravi danni al suolo e all’ecosistema di un’ampia area con superficie pari a circa 12 ettari, qualificandoli come “danno permanente all’habitat prioritario”. Il ripetuto transito dei trattori utilizzati per l’esbosco del legname sul delicato suolo forestale ha prodotto una devastazione senza precedenti in una delle aree più intatte del Parco nazionale. E tutto ciò a pochi passi dalla Strada Provinciale n. 54 “Frentana”, sotto gli occhi degli addetti all’Ente Parco e dei Carabinieri Forestali che hanno il compito di controllare il territorio del Parco.
Appennino Ecosistema ha inviato stamattina un seguito al precedente esposto, nel quale evidenzia che la relazione dell’Ente Parco, oltre a confermare la violazione delle numerose norme già citate nell’esposto (codice penale, art. 452-quinquies, art. 733-bis e art. 635, L. n. 394/1991, art. 6, c. 3, art. 11, c. 3 e art. 30, c. 1), apre la possibilità di contestare all’impresa boschiva la più grave violazione dell’ art. 452-bis del codice penale, uno dei cosiddetti “delitti ambientali” recentemente introdotti nel codice, che punisce  con la reclusione fino a 6 anni e con la multa fino a 100.000 € “chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna”.
Nella stessa nota, Appennino Ecosistema evidenzia come l’autorizzazione rilasciata dalla Regione all’impresa boschiva sia da ritenersi palesemente illegittima, in quanto non contiene la necessaria dichiarazione di incidenza ambientale non significativa del progetto di taglio, che spetta alla Regione stessa. I lavori sono stati quindi eseguiti in mancanza della relativa autorizzazione prevista dalla Direttiva habitat dell’Unione Europea e dal DPR n. 120/2013, configurandosi così il reato previsto dal Codice del paesaggio (D.Lgs. n. 42/2004, art. 181 c. 1), con le sanzioni previste dalla legge urbanistica (L. n. 47/1985, art. 20).
Si evidenzia anche che nello stesso “progetto esecutivo di taglio e valutazione di incidenza ambientale”, redatto da un dottore forestale senza alcuna partecipazione di biologi o naturalisti, viene accertata una “limitata criticità per flora e fauna”, dichiarando poi unilateralmente (ed impropriamente) che l’intervento “non inciderà negativamente” sulle aree della Rete Natura 2000. Ragionevolmente, le criticità accertate per la flora e la fauna non possono quindi far escludere possibili incidenze negative su queste componenti fondamentali dell’ecosistema e quindi sull’habitat prioritario. Nessuno avrebbe potuto quindi autorizzare l’esecuzione del progetto dichiarandone la sua incidenza ambientale non significativa, senza almeno richiedere un approfondimento dello Studio con la collaborazione di figure professionali qualificate nel settore ecologico, anche perché la procedura autorizzativa prevista dall’art. 6, c. 4 della Dir. 92/43/CEE (e dal relativo art. 5, c. 10 del D.P.R. n. 357/1997, come modificato dal D.P.R. n. 120/2003)  nel caso di incidenza significativa su habitat o specie indicati come “prioritari” negli Allegati I e II alla Direttiva UE Habitat è particolarmente aggravata, poiché per autorizzare la realizzazione del progetto possono essere addotte soltanto “considerazioni connesse alla salute dell’uomo ed alla sicurezza pubblica” o anche, ma in questo caso previo parere obbligatorio e vincolante della Commissione Europea, “altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico”, situazioni chiaramente al di fuori delle motivazioni dell’intervento in corso.
Nella nota, Appennino Ecosistema evidenzia infine come le prescrizioni fornite dall’Ente del Parco nazionale della Majella e dalla Regione all’impresa boschiva appaiano irragionevoli e contraddittorie: queste impongono infatti all’impresa boschiva la sospensione dei lavori nel periodo marzo-giugno (Ente Parco 02/07/2018) e in quello ottobre-novembre (Regione 10/09/2018), arco temporale successivamente modificato in luglio-settembre (Regione 20/09/2018). Si consideri che il periodo nel quale si sono verificati i fatti in esame coincide proprio nel mese di novembre, che nel corrente anno è stato caratterizzato da precipitazioni frequenti ed intense che hanno reso l’ecosistema ancor più sensibile agli interventi che lo hanno danneggiato.


Parco nazionale della Majella: gravissimi danni alle faggete

Parco nazionale della Majella: gravissimi danni alle faggete con agrifoglio, habitat prioritario dell’Unione Europea

Appennino Ecosistema denuncia alla Procura, ai Carabinieri e al Ministero dell’Ambiente i danneggiamenti in corso nel cuore del Parco nell’ambito di un imponente cantiere forestale per scopi commerciali

L’Aquila, 27/11/2018. Un esposto di Appennino Ecosistema alla Procura della Repubblica di Sulmona, ai Carabinieri e al Ministero dell’Ambiente è stato presentato stamattina sui gravissimi danni riscontrati all’ecosistema forestale in piena Zona B del Parco nazionale della Majella, tuttora in corso di attuazione a causa dei lavori connessi ad un cantiere forestale di grandi dimensioni per scopi commerciali, in località Fonte Romana/Difesa di Pacentro (Pacentro – AQ). Gravi danni al suolo, alle piante erbacee ed in generale all’ecosistema di un’ampia area con superficie pari a circa 20 ettari. In alcuni casi (come in quello rappresentato nella carta topografica riportata sotto) vi sono state realizzate vere e proprie piste per il transito dei trattori, con sbancamento delle relative scarpate, di lunghezza pari a circa 300 m, larghezza di 3-5 metri e scarpate alte da 30 a 150 cm. Sono stati anche osservati danni diretti agli alberi di agrifoglio (Ilex aquifolium), come dimostrato dalla documentazione fotografica fornita (tutte le fotografie ad alta risoluzione sono liberamente scaricabili qui sotto). Il ripetuto transito dei trattori per l’esbosco del legname sul delicato suolo forestale (reso ancor più fragile dalle correnti condizioni meteorologiche che hanno determinato un’elevata presenza di acqua) ha prodotto una devastazione senza precedenti, in una delle aree più intatte del Parco nazionale. E tutto ciò a pochi passi dalla Strada Provinciale n. 54 “Frentana”, sotto gli occhi degli addetti all’Ente Parco e dei Carabinieri Forestali che hanno il compito di controllare il territorio del Parco.
L’ecosistema forestale colpito corrisponde all’habitat prioritario protetto dalla Direttiva dell’Unione Europea 92/43/CEE Habitat n. 9210* (Faggete appenniniche con tasso e agrifoglio), che si trova già in stato di conservazione “inadeguato” in base al Rapporto dell’Istituto Superiore per la Protezione e le Ricerche Ambientali (ISPRA) n. 194/2014. Nel caso di habitat prioritari, cioè a massima protezione europea, è possibile realizzare interventi soltanto in base a “considerazioni connesse alla salute dell’uomo ed alla sicurezza pubblica” o anche, ma in questo caso previo parere obbligatorio e vincolante della Commissione Europea, “per altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico”. Come avranno fatto allora l’Amministrazione Comunale di Pacentro, con relativo parere dell’Ente del Parco Nazionale della Majella e della Regione Abruzzo, a rilasciare la dichiarazione di incidenza ambientale non significativa? Se tale “autorizzazione” esiste, è da ritenersi palesemente illegittima, come pure un eventuale “nulla osta” rilasciato dall’Ente Parco.
L’Associazione Appennino Ecosistema ha chiesto alle Autorità di “esperire gli accertamenti del caso, promuovere le doverose azioni necessarie al fine di interrompere le condotte illecite e perseguire penalmente i responsabili per le condotte attuate e per i fatti esposti”.
Nell’esposto appena presentato, Appennino Ecosistema ipotizza la violazione di numerose normative poste direttamente a tutela delle aree protette a livello europeo e nazionale, tra le quali gli articoli del codice penale 733-bis (distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto) e 452-quinquies (delitti colposi contro l’ambiente, che punisce fatti colposi dai quali possa derivare anche solo il pericolo di una compromissione o di un deterioramento di un ecosistema, della biodiversità, della flora o della fauna) e gli articoli 6 e 11 della Legge n. 394/1991 (Legge quadro sulle aree protette, divieto di qualsiasi condotta che possa incidere “sulla morfologia del territorio, sugli equilibri ecologici, idraulici ed idrogeotermici”, divieto di tutte “le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati, con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat”.
Appennino Ecosistema, nell’esposto presentato, sottolinea che le norme previste dalla Legge quadro sulle aree protette come “norme di salvaguardia” devono essere applicate, in quanto il Regolamento del Parco non è ancora vigente, e che pertanto eventuali nulla osta rilasciati dall’Ente Parco sono illegittimi.


Appello control il depuratore di Pescasseroli

Appello contro la costruzione di un depuratore nella piana di Pescasseroli  (Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise)

Franco Pedrotti, Professore emerito, Università di Camerino

La Piana di Pescasseroli corrisponde al fondovalle alluvionale  dell’Alta Valle del Sangro nel tratto compreso fra Opi e Pescasseroli (m 1000- 1100 circa). Essa è occupata da una vegetazione erbacea di praterie umide e palustri appartenenti a diverse associazioni vegetali formate di ranuncoli (Ranunculus velutinus), orzo perenne (Hordeum secalinum), carice acuta (Carex gracilis) e molte altre specie ecologicamente e fitogeograficamente interessanti (Pedrotti, Gafta, Manzi, Canullo, 1992). Queste praterie vengono regolarmente sfalciate a luglio e aperte al pascolo a settembre, dopo che è avvenuto un ricaccio di molte specie, le cosiddette “erbe seconde” (Manzi, 1990). La Piana è attraversata dal Sangro, lungo il quale è sviluppata una fascia di vegetazione ripariale formata in grande prevalenza da salice bianco (Salix alba). La vegetazione della Piana di Pescasseroli è in parte secondaria (le praterie umide e palustri) e in parte primaria (la vegetazione ripariale) ed oggi si trova in un ottimo stato di conservazione.

La Piana di Pescasseroli costituisce una particolare “unità ambientale” in tutto il territorio del parco, perchè è unica e non se ne riscontrano di analoghe in tutto l’Appennino centrale. un’unità ambientale è una porzione relativamente omogenea di territorio dal punto di vista ecologico, dunque per gli aspetti geomorfologici e biologici e per l’influsso esercitato dall’uomo (Pedrotti, 2013), nel caso della Piana di Pescasseroli la gestione delle praterie mediante lo sfalcio e il pascolo.

Questa unità ambientale è rappresentata sulla Carta delle unità ambientali del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise in scala 1: 50.000 (Martinelli, 2013; Pedrotti E Martinelli, 2015). Oltre che nella Piana di Pescasseroli, nell’alta Valle del Sangro di trovano altre due aree (di ridotta dimensione), situate  a monte di Pescasseroli, di praterie umide e palustri, come si può notare sulla carta citata.

Erminio Sipari negli anni ’20, con una grande intuizione, aveva ben compreso le caratteristiche essenziali del paesaggio (oggi diciamo preferibilmente ambiente) dell’alta Valle del Sangro e della Marsica, che in questi ultimi anni sono state dimostrate scientificamente con la carta delle unità ambientali prima citata, che distingue 52 tipologie diverse.

Progetto di un lago artificiale nella Piana di Pescasseroli

Subito dopo l’istituzione del Parco Nazionale d’Abruzzo, è sorto il progetto di costruire due bacini artificiali a Barrea e Opi; quello di Opi, in particolare, avrebbe sommerso completamente tutta la Piana di Pescasseroli con grave danno per l’ambiente e per la sua particolare vegetazione delle praterie umide. Erminio Sipari si schierò subito contro la realizzazione dei due bacini e lottò in prima persona con un atto di opposizione (Sipari, 1925, 1927b e 1927c). La lotta contro la costruzione dei bacini artificiali è stata molto dura, anche con riflessi sulla stampa nazionale, ad opera degli on. Paolo Orano e Gioacchino Volpe (Orano, 1926 e Volpe, 1927); nell’articolo di quest’ultimo sul Corriere della Sera del 24 febbraio 1927 si parla, penso per la prima volta nel nostro paese, di “nemici” del Parco Nazionale d’Abruzzo, i primi di una lunga serie che sembra non avere mai fine. La lotta contro i laghi artificiali si è conclusa positivamente soltanto per il bacino di Opi, mentre quello di Barrea venne costruito (Sipari, 1928). Sipari, in seguito, farà questo commento: per la difesa del paesaggio, il parco ha dovuto combattere aspre ed annose battaglie. Ma la sua conclusione suona così: è meraviglioso che una nazione così carica di storia, senza distruggere le vestigia del passato, anzi religiosamente conservandole e restituendole sempre di più all’onore della luce, compia prodigiosi lavori, rifuggendo da distruzioni inutili e praticando una intensa messa in valore delle ricchezze naturali. Oggi possiamo dire che non si è trattato soltanto di una battaglia per salvare il paesaggio, ma l’ambiente nel suo insieme: una delle prime battaglie ambientaliste che si sono combattute in Italia.

Progetto di un depuratore nella Piana di Pescasseroli

Una nuova grave minaccia incombe ora sulla Piana di Pescasseroli. Infatti è stata approvata la costruzione di un depuratore che dovrebbe essere costruito nelle praterie centro-superiori della Piana di Pescasseroli. Risulta subito evidente, anche ai più sprovveduti in questioni ambientali, che la costruzione del depuratore – per quanto necessaria – provocherebbe un enorme impatto sulla Piana, con uno sconvolgimento totale dell’ambiente e del paesaggio. Si tratta di un progetto scandaloso che – se venisse realizzato – costituirebbe sicuramente un atto criminoso contro l’ambiente, in quanto l’area interessata si trova all’interno di un parco nazionale, in una zona che si è mantenuta integra per secoli e che oggi verrebbe brutalmente danneggiata. Non esiste nessuna compatibilità fra l’impianto previsto (l’edificio del depuratore e i suoi collegamenti) e l’ambiente nel quale sarebbe destinato ad essere costruito; questa valutazione è valida da due punti di vista: ambientale (ecologico) e paesaggistico (visivo). Tali affermazioni non si basano su posizioni aprioristiche, ma sugli studi vegetazionali, ecologici e paesaggistici eseguiti in zona con i miei collaboratori dell’Università di Camerino e con il prof. Marcello Martinelli, della Facoltà di Geografia, Università di San Paolo, Brasile (vedi lavori citati in precedenza).

C’è, poi, un aspetto morale, che non si può in alcun modo tralasciare. Infatti i terreni interessati alla costruzione del depuratore, già di proprietà di Erminio Sipari ed ora della Fondazione Sipari, sono stati espropriati al fine di realizzarvi il nuovo depuratore. Dal punto di vista etico, si tratta di un’operazione indegna, di un affronto alla memoria del fondatore e primo presidente del Parco Nazionale d’Abruzzo. Si tratta proprio di quegli stessi terreni che Erminio Sipari negli anni ’20 era riuscito a salvare dalla costruzione di un lago artificiale e che ora, a distanza di 90 anni, sono nuovamente minacciati fra l’indifferenza generale. Sorprende, di conseguenza, che l’Ente autonomo Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise non abbia preso una posizione chiara contro il progetto del nuovo depuratore. C’è da domandarsi a cosa serva un parco che non sa difendere il proprio territorio, per quale ragione sia mai stato istituito; la difesa del territorio è un obbligo che deriva dalla stessa legge istitutiva del parco. C’è da rimanere sorpresi e allibiti, perchè il parco è un bene pubblico che va difeso nell’interesse di tutti. Per usare le parole che ha usato Erminio Sipari contro la costruzione del lago di Opi, si tratterebbe di un progetto in isfregio agli interessi della nazione, dell’alta Valle del Sangro e del parco (Sipari, 1926).

Rimane sicuramente, peraltro, il problema del depuratore. L’alternativa è costituita dalla possibilità di un ampliamento dell’attuale depuratore o il suo spostamento in zona poco lontana dal sito attuale, come è stato proposto dall’Associazione Italiana per la Wilderness.

Il Comune di Pescasseroli e l’Ente autonomo Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise hanno l’obbligo di rinunciare all’idea di costruire il depuratore nella Piana di Pescasseroli e di mettere definitivamente da parte tale insano progetto.

Camerino, 2 gennaio 2018.

BIBLIOGRAFIA

Manzi A., 1990 – La gestione dei pascoli montani in Abruzzo e la Società      delle          Erbe Seconde di Pescasseroli ed Opi. Archivio Botanico        Italiano, 66 (3-   4): 129-142.

Martinelli M., 2013 – La cartografia delle unità ambientali del parco         nazionale d’abruzzo. Colloques Phytosociologiques, XXIX: 375- 382.

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Pedrotti F., 2013 – Plant and vegetation mapping. Heidelberg, ed.        Springer.

Pedrotti F., Martinelli M., 2015 – Carta delle unità ambientali del Parco       Nazionale d’Abruzzo (1: 50.000). In: Cristea V., Gafta D., Pedrotti        F.,     Fitosociologia. Trento, ed. TEMI.

Pedrotti F., Gafta D., Manzi A., Canullo R., 1992 – Le associazioni   vegetali della Piana di Pescasseroli (Parco Nazionale       d’Abruzzo).        Documents Phytosociologiques, XIV: 123 – 147.

Sipari E., 1925 – Atto di opposizione del Comune di Pescasseroli contro         la formazione del lago artificiale di Opi. Roma, Tip. Colombo.

Sipari E., 1926 – Relazione del Presidente del Direttorio provvisorio          dell’Ente autonomo del Parco Nazionale d’Abruzzo alla Commissione       amministratrice dell’ente stesso, nominata con regio decreto 25 marzo   1923. Tivoli, Tipografia di A. Chicca (ristampa anastatica in tre     edizioni      speciali dell’Ente autonomo Parco Nazionale d’Abruzzo, Roma,         1997-         1998, a cura di F. Tassi e F. Pratesi).

Sipari E., 1927a – Atto di opposizione alla progettata formazione dei laghi    artificiali di Opi e di Barrea. Roma, Tip. della Camera dei Deputati.

Sipari E., 1927b –  Atto aggiuntivo di opposizione 3 aprile 1927 alla     progettata formazione dei laghi artificiali di Opi e di Barrea Roma,       Tip. della Camera dei Deputati.

Sipari E., 1928 – Il Parco Nazionale d’Abruzzo liberato dall’allagamento.      Il Centauro. Rivista mensile dell’Abruzzo-Molise, I(1): pp. 7-22.

Volpe G., 1927 – Il Parco Nazionale d’Abruzzo e i suoi nemici. Il Corriere della Sera, 24 febbraio 1927.

Zunino F., 2017 – Erminio Sipari e il depuratore di Pescasseroli. Una   storia moderna tutta italiana. Murialdo, Associazione Italiana per la     Wilderness (AIW).